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EURISPES. La narrativa del merito che giustifica le disuguaglianze

Ti hanno appena promosso. Finalmente! Dopo anni di impegno e sacrifici, hai ottenuto quel ruolo di responsabilità che sognavi. Ti senti il simbolo vivente della meritocrazia: il talento, il lavoro duro e la costanza sono stati riconosciuti. La tua prima decisione da neopromosso è una di quelle che segnano: devi scegliere un nuovo collaboratore. L’ufficio HR ti presenta tre candidati. Nessuna istruzione precisa, solo una raccomandazione: “Scegli il tuo criterio”.

 

Decidi che il criterio sarà il merito. Solo il merito. Il primo ha frequentato scuole prestigiose grazie alla sua famiglia benestante, vanta un curriculum impeccabile con master all’estero e stage in multinazionali facilitate dai contatti dei genitori, parla fluentemente tre lingue apprese durante soggiorni internazionali. Il secondo è emerso da un contesto di grave svantaggio socioeconomico, ha studiato lavorando contemporaneamente per mantenersi, mostrando una resilienza straordinaria. Non ha potuto permettersi esperienze all’estero o stage non retribuiti, ma ha dimostrato capacità notevoli nel risolvere problemi complessi con risorse limitate.

 

Il terzo ha un percorso formativo nella media, ma ha sviluppato competenze tecniche eccezionali attraverso l’autoapprendimento e la sperimentazione, ha fondato due startup fallite da cui ha tratto insegnamenti preziosi, mostra capacità di innovazione e pensiero laterale fuori dal comune. Ti blocchi. Quel concetto di “merito” che ti ha guidato fin qui, che hai interiorizzato come bussola infallibile, ora ti appare improvvisamente scivoloso

 

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